Articoli

Non sei fan del "giro per vetrine"? Vai dritto al punto: scegli una sezione o un titolo.

In vino fabulae

Propongo due degli articoli che ho scritto per la rubrica Talks & books della rivista Vitae, edita dall’Associazione Italiana Sommelier. Tutti i pezzi hanno in comune una storia o un personaggio di rilievo per il settore, uno o più episodi podcast e dei consigli bibliografici internazionali

Nel regno di Oz

 

L’antefatto 

L’ipotesi di una collaborazione tra il mio content team e Vitae è nata durante una chiacchierata con il Vicepresidente nazionale AIS Marco Aldegheri. Due esigenze, complementari fra loro, avrebbero trovato una valida risposta nel progetto: da un lato, Vitae puntava a offrire ai propri lettori il punto di vista internazionale di qualcuno che, con l’internazionalità, ha a che fare quotidianamente. Dall’altro, io desideravo trovare uno spazio per condividere alcuni contenuti di successo all’estero con un più largo pubblico italiano di settore. Mettendo insieme i pezzi e confrontandoci con Emanuele Vizzari, Responsabile di Redazione, ha preso forma questa nuova rubrica. 

Uno dei progetti dei quali vado maggiormente fiera è Italian Wine Podcast, partito in sordina nel 2017 e oggi primo podcast sul vino al mondo con oltre cinque milioni di ascolti, circa 1300 episodi all’attivo e nuove pubblicazioni sette giorni su sette. Non è solo un podcast che parla di vino, bensì un podcast sulle persone del vino: produttori italiani, certo, ma anche personaggi internazionali chiave per enologia, wine business, comunicazione, diversità e inclusione, enogastronomia, viaggi, dialogo didattico-scientifico. Da quanto raccontato su Italian Wine Podcast da queste influenti figure prenderò spunto per parlare di wine people da tutto il mondo ai lettori di Vitae.

Lezioni di storytelling: Oz Clarke

Dietro ogni vino c’è una storia, ma dietro ogni grande storia ci sono persone capaci di raccontarla. Robert Owen “Oz” Clarke è una di queste, e l’episodio numero 1204 della serie Food & Travel with Marc Million ne porta un esempio. Prima attore e cantante classico, Oz è un wine writer pluripremiato e una voce autorevole sul vino. Non voglio qui parlare della sua conoscenza enciclopedica, che non ha bisogno di essere patrocinata. Vorrei piuttosto soffermarmi sulla sua capacità di comunicatore del vino. Troppo spesso, nel nostro settore, sottovalutiamo l’importanza della comunicazione e trascuriamo quanto ogni aspetto della wine industry sia condizionato dalla comunicazione, dalla vigna al bicchiere del consumatore passando anche per enoteche, sale di ristoranti, aule dei corsi. Proprio a questa tematica abbiamo dedicato l’intera edizione 2022 di wine2wine Business Forum. La più antica forma di comunicazione è lo storytelling: Oz Clarke ha molto da insegnare in proposito.

Oz contestualizza ogni contenuto all’interno di una narrazione intessuta di elementi personali. «Non esiste il mondo del vino», dice a Marc Millon durante l’intervista. Esiste il proprio mondo del vino: non un atlante universale e onnicomprensivo, bensì la descrizione di quello che ciascuno sceglie di osservare dalla propria personale prospettiva. Oz inserisce pezzi della propria vita all’interno della narrazione, perché sono proprio le storie autentiche e soggettive a rendere qualunque argomento interessante. Se Bordeaux, Borgogna, Chianti, o Rioja sono calati all’interno di una storia, è molto più semplice coinvolgere chi ascolta. Se sono invece solo quattro varietà di vitigno al centro di un asettico elenco di dettagli tecnici, l’attenzione tenderà molto presto a scappare verso qualcosa di più coinvolgente. Allo stesso modo, ogni cantina dovrebbe trovare e raccontare la propria storia, quella che la caratterizza e la differenzia dagli altri.

Una delle storie che Oz ama di più raccontare è quella del vino, da quando è nato ad oggi. A questo cerca di aggiungere anche la propria opinione di quello che il vino sarà in futuro: è improbabile che quello che berremo tra circa vent’anni somiglierà a quello che abbiamo oggi nei nostri calici, e Oz vuole fare in modo che il mondo del vino ne sia consapevole. Vuole anche che si sappia che uno dei motivi di questa variazione sta nel riscaldamento globale, un tema su cui insiste da trent’anni e che molti stanno riconoscendo solo in tempi recenti. Che il cambiamento climatico stia avvenendo – e rapidamente – è evidente nell’evoluzione dei vini degli ultimi venti o trent’anni. Nessuna versione moderna del Bordeaux, per quanto eccellente, somiglia a quella degli anni ’80. Quello che i produttori dovrebbero quindi fare è studiare nuovi modi per dare voce alle peculiarità di ciascuna area di produzione. Questo non significa abbandonare le tradizioni, ma rinnovarle per raggiungere l’obiettivo di sempre: produrre il vino che sia la migliore espressione possibile del proprio territorio. Si tratta in fondo di una questione di comunicazione: anche laddove il messaggio sia lo stesso, i metodi e gli strumenti di comunicazione devono essere aggiornati per stare al passo con i tempi.

Assieme al clima sono cambiati anche i consumatori. Se oggi il vino è molto più popolare rispetto a cinquant’anni fa è anche merito dell’evoluzione nella comunicazione, che lo ha avvicinato al grande pubblico. Correva la metà degli anni ’80 quando Oz, che al tempo calcava i palcoscenici come il Generale Juan Domingo Péron in Evita, cominciò il programma Food and Drink sulla BBC diventando il volto del vino per milioni di persone. È anche grazie al suo impegno nel comunicare il vino così da renderlo fruibile alle persone dai loro salotti di casa che in Gran Bretagna si è progressivamente creata una profonda cultura del vino basata sulla facile disponibilità di etichette provenienti da tutto il mondo. Offrire al consumatore la possibilità di comprendere il vino apre un dialogo che è proficuo a doppio senso: il consumatore acquisisce strumenti per identificare ed esprimere i propri gusti, mentre i produttori possono ricevere indicazioni su ciò che il consumatore desidera e crearlo per loro. Questo tipo di comunicazione ha dato finalmente vita a un villaggio globale nel quale tutti hanno la possibilità di parlarsi e di ascoltare quello che gli altri hanno da dire. Dovremmo approfittarne.

Book corner

  • Oz Clarke, Oz Clarke on Wine – Your Global Wine Companion, Académie du Vin Library, 2021

    Il primo libro che consiglio è un esempio perfetto dello stile comunicativo di Oz Clarke appena descritto. Il libro accompagna il lettore in un viaggio nel suo personale mondo del vino con un lungo racconto che incapsula una sconfinata conoscenza tra note informative e aneddoti di vita vissuta. Il cuore del libro è la sezione Wine grapes, wine styles: l’approccio “varietal-driven” è infatti quello più efficace per rendere accessibile a tutti il vino, secondo Oz. Leggendo il libro, si capisce il perché.  

 
  • AA. VV., Italian Wine Unplugged 2.0, Jumbo Shrimp Guide, 2023

    Sempre con un approccio basato sulle varietà di vitigno, in questo caso dell’Italia, questo libro è una riedizione aggiornata e arricchita del lavoro pubblicato per la prima volta nel 2017 e adottato come libro di testo per i corsi della Vinitaly International Academy. Allo studio dei vitigni autoctoni si unisce materiale inedito tratto dalla vasta ricerca del Prof. Attilio Scienza sulle origini e sul DNA delle uve italiane. L’aggiunta di produttori di riferimento per ogni uva rende questo libro una lettura obbligata per studenti e wine lover.

 

La ruta de las islas

Per la sua posizione geografica, la sua percorribilità e le relazioni umane che lo caratterizzano, il Mediterraneo è senza dubbio l’epicentro di molti eventi storici decisivi: dal Neolitico ai giorni nostri, intere civiltà sono nate e fiorite attorno a questo mare o non lontano da esso. Il Mediterraneo è un luogo di comunicazione, un lago di interculturalità e un crocevia di intensi scambi tra i suoi popoli rivieraschi, molto attivi fin da epoche antiche. Per tutte queste ragioni, il grande storico francese Fernand Paul Achille Braudel (1902-1985) lo ha definito un continente liquido, dove le strade sono rotte marittime e le navi trasportano sì merci, ma anche esperienze, idee e culture.

Le diverse realtà culturali che convivono e interagiscono nel “continente Mediterraneo” sono nate da un fenomeno migratorio che scandisce la storia stessa della civiltà di quelle zone. L’abitudine a spostarsi da una sponda all’altra del Mare Nostrum è diventata parte integrante dell’identità dei relativi popoli, conferendo alla loro cultura quella dimensione universale che permea l’essenza della sua grandezza e del suo splendore. In questo contesto, le isole sono le prime protagoniste della civiltà del vino europea, un fondamentale avamposto della cultura enologica occidentale. Come mai? Nei rapporti commerciali tra i popoli, il vino è tra le merci più pregiate e ricercate: le isole, capillarmente distribuite lungo le principali rotte marittime, ne rappresentano i luoghi di scambio ideali. 

Storicamente, si parla di “rotta delle isole” per descrivere la via d’acqua che unisce le coste iberiche a quelle della penisola italiana attraverso le Baleari, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia, per poi procedere oltre, verso il Mar Nero, tramite Malta, Creta, arcipelago dell’Egeo, Stretto dei Dardanelli e Bosforo. È proprio in virtù di queste strade d’acqua e delle contaminazioni da esse stesse rese possibili che l’Italia può oggi vantare diverse ricchezze enologiche apprezzate in tutto il mondo. L’enocultura viaggia su queste rotte già assieme alle navi fenice e micenee, è addirittura protagonista in diverse pagine dell’Iliade e dell’Odissea e costituisce parte integrante della vita sociale e religiosa di tutte le colonie greche. In epoca romana è intensa sia l’importazione di vino pregiato proveniente dall’Italia che quella di vino prodotto in altre zone del Mediterraneo. Ancora, il Medioevo vede l’Italia al centro dei commerci dei vini di tutto il Mediterraneo e verso l’Europa continentale. 

È in particolare nel basso Medioevo che troviamo le radici delle strette e prolungate relazioni economiche e politiche tra Italia e Spagna che segnano profondamente il nostro scenario enologico e ampelografico. Nel 1282, in seguito alla ribellione dei Vespri Siciliani, la corona del re di Sicilia passa dagli Angiò di Francia agli aragonesi di Spagna. Tra il 1323 e il 1326, i re catalano-aragonesi sbarcano anche in Sardegna, base strategica essenziale nella ruta de las islas, ottenendone poi il controllo totale nel 1420 con l’annessione del Giudicato di Arborea. Dopo la conquista del Regno di Napoli nel 1500 e la pace di Cateau-Cambrésis del 1559, la presenza spagnola nell’Italia mediterranea si consolida. 

In questi secoli, le varietà di vitigno coltivate e la produzione di vino aumentano sensibilmente. Vermentino, Carignano (o Bovale Grande) e Bovale Sardo, Bombino Bianco, Cagnulari, Monica, Girò, Torbato (Turbat di Catalogna) e Nasco – per citarne alcuni – possono considerarsi di origine iberica; per approfondire questi vitigni, consiglio l’ascolto della serie Italian Wine Book features Italian Wine Unplugged 2.0 di Italian Wine Podcast, a cominciare dall’episodio n. 1562. Garnacha, Grenache, Granazza, Garnaccia e Alicante, che condividono il medesimo bagaglio genetico, trovano un’origine comune in “Vernaccia” o “Vernazza”, dal porto di Vernazza nelle Cinque Terre da dove questi vini ebbero origine. A proposito di Vernaccia, pare sia sempre merito degli spagnoli l’applicazione della tecnica di produzione di vini fortificati; nel Medioevo, la Vernaccia che a Oristano regala risultati d’eccellenza è in competizione con la Malvasia veneziana per i mercati dell’Europa settentrionale.

Nella provincia spagnola di Alghero del XIV secolo, un decreto reale stabilisce il divieto di introdurre e vendere vini non prodotti nel territorio tra ottobre e aprile; nel resto dell’anno, i vini provenienti da altre parti dell’isola sono soggetti a dazi doganali molto elevati. Si instaura insomma una vera e propria politica protezionistica che favorisce notevolmente la viticoltura algherese. A questi statuti si alternano però anche misure per favorire l’importazione di vino – soprattutto da Calabria, Sicilia, Alicante e Maiorca – quando le condizioni climatiche sfavorevoli penalizzano la produzione locale. Nello stesso periodo, il termine Cannonau inizia a comparire sempre più spesso nei documenti doganali e commerciali: in una relazione del 1612 inviata a Filippo II di Spagna si legge che la Sardegna è ricca di hubas y vino muy bueno e che questo vino viene esportato in tutto il Mediterraneo.

Nel 1556, quando Filippo II di Spagna diventa Re di Sicilia e Sardegna, l’Europa continentale è stretta nella morsa di carestie, peste e guerre. Al contrario, le regioni mediterranee sembrano esenti da questi eventi e acquisiscono dunque un ruolo chiave come produttrici e fornitrici di vino, oltre che di altri beni di sostentamento. Sull’onda del commercio veneziano, che a causa della pressione Ottomana ha difficoltà a reperire dalla fonte i tanto apprezzati vini greci, i produttori italiani si orientano progressivamente verso i vitigni che permettono di produrre i cosiddetti vini “d’imitazione”. Si diffondono così da Napoli o dalla Liguria alcune varietà chiamate genericamente “Greco” e “Malvasia” per la loro capacità di dare vini dolci e aromatici, di stile ossidativo e con un alto grado alcolico. Per imitare al meglio il gusto di questi vini popolari, viene inoltre introdotta la pratica di far seccare l’uva, come testimoniato da numerosi contratti di mezzadria: l’uva “da appendere” era di solito Malvasia e Vernaccia. 

Questo porta anche al primo vero ingresso del vitigno nella comunicazione, tematica a me particolarmente cara: l’abitudine di identificare il vino con termini legati ai luoghi di produzione, a elementi di contesto o al colore viene messa da parte in favore del “marketing” sotto il nome della varietà. Di questo parleremo magari in un altro articolo. Come conclusione a questo, invece, vorrei osservare che ha forse più senso, per il Mediterraneo, parlare di tante viticolture che il mare mette in dialogo fra loro e unisce piuttosto che di una sola viticoltura. Questa pluralità ha radici antiche ed è modulata non tanto dai paesaggi viticoli quanto da quelli culturali. Lo abbiamo detto già all’inizio: le rotte, come quella delle isole, hanno reso protagonista il Mediterraneo più per lo scambio di idee ed esperienze che di merci in sé. In nessun’altra parte d’Europa il vino è così umano come nel Mediterraneo. 

 

Book corner

  • Attilio Scienza, Serena Imazio, In the name of Italian wine, Mamma Jumbo Shrimp, 2023

    Porto nuovamente nel nostro angolo di consigli bibliografici quella fonte inesauribile di informazioni che è il Professor Attilio Scienza. Assieme a Serena Imazio, il Professore tratteggia un pellegrinaggio lungo le strade consolari romane, le vie religiose medievali e le coste del Mediterraneo, ivi compresa la “rotta delle isole”. L’analisi delle rotte commerciali ci fornisce una chiave interpretativa efficace per comprendere i percorsi del vino e lo sviluppo della relativa cultura.  

 
  • Fernand Braudel, The Mediterranean and the Mediterranean World in the Age of Philip II, University of California Press, 2023

    Per chi volesse sapere di più sugli studi dello storico francese menzionato all’inizio dell’articolo, ecco un suo lavoro in due volumi (del 2023 è la ristampa più recente). Anche se il titolo colloca il focus sull’età di Filippo II di Spagna, parliamo quindi della seconda metà del XVI secolo, Braudel spazia qui a ritroso nella storia fino a Ulisse per poi tornare fino all’epoca contemporanea, spostandosi dall’area mediterranea al Nuovo Mondo e ad altre destinazioni dei commercianti.

Show biz

Due articoli, due delle mie passioni: il mondo comics e la musica. Dicono che scrivere di ciò che ci piace sia più semplice. Non posso negarlo, ma bisogna anche considerare che le aspettative sono maggiori e più complicate da soddisfare. Almeno per me. 

Può un evento essere sia unico che ripetibile?
La risposta alla seconda edizione de La Sagra dei Fumetti

 

Solito periodo, solito posto: e qui finisce la descrizione di ciò che La Sagra dei Fumetti ha di “usuale”. Per chi non lo sapesse già, si tratta di una manifestazione che quest’anno si terrà il 14 e 15 Giugno presso il Castello Scaligero di Villafranca, una cittadina alle porte di Verona che già ne ospitò la riuscita prima edizione. Gli organizzatori sono pronti a ripetere l’esperimento del Giugno 2013, forti anche delle collaborazioni nel frattempo istituite con prestigiose strutture quali Gardaland e Parco Giardino Sigurtà.

Ma che cos’è questa Sagra dei Fumetti: è una convention per intenditori del mondo fumettistico? O è forse una sagra paesana all’aperto che ha voluto darsi un nome curioso? È l’una e l’altra cosa; ed è proprio questa caratteristica a rendere l’evento così sui generis. La Sagra dei Fumetti è infatti il primo evento dedicato al pianeta Comics & Cartoon in grado di radunare, applicando una formula del tutto originale, un pubblico molto variegato. Nei diecimila metri quadri di spazio a disposizione, autori, espositori e cosplay si alternano a giochi, musica, spettacoli, gastronomia e fiumi di ottima birra. Il risultato è una fiera del fumetto trasposta in chiave “Oktoberfest”, una festa alla portata di tutti che non rinuncia alla cultura e all’intrattenimento di qualità.

Il progetto è stato ulteriormente perfezionato grazie all’incrocio tra gli elementi vincenti già sperimentati ed i feedback arrivati da visitatori, espositori ed artisti durante l’edizione pilota. La nuova Area Food servirà le proprie specialità non più in un unico spazio, bensì tramite diversi punti ristoro dislocati nel castello; altrettanto distribuiti saranno i padiglioni dedicati alla vendita e alle mostre. In tutto ciò, la divertente animazione di personaggi e show itineranti farà poi da collante, coinvolgendo visitatori ed operatori in un vero e proprio spettacolo non stop.

E, parlando di spettacolo, il programma proposto è talmente fitto di attività ed appuntamenti da richiedere quest’anno l’allestimento di ben tre aree show: il grande palco con maxi-schermo che ospiterà gli eventi principali; l’Arena Cosplay, che metterà a completa disposizione dei cosplayer un set attrezzato di impianto audio, luci e video per tutto il tempo della sagra; il palco Comics Radio, che realizzerà un vero programma radiofonico live in diretta trasmettendo, ad ogni area del castello in filodiffusione, incontri con ospiti di spicco e musica.

Il palco principale metterà in scena due cosplay contest. Entrambi saranno presentati “in tandem” da una personalità importante del mondo Comics & Cosplay e da un noto comico televisivo, che porterà un po’ di pepe alla situazione. Il “tradizionale” Cosplay Contest Show si terrà nel pomeriggio di Domenica 15. Sabato 14 si svolgerà invece l’esclusivo Original Cosplay Contest Be a Superhero: la prova che tutti possono essere dei supereroi, anche solo per un giorno. E non è tutto, perché ciascuno può diventare addirittura una star del fumetto! Il partecipante che inventerà il supereroe più divertente verrà infatti reinterpretato in un disegno di Leo Ortolani, mentre i vincitori diventeranno protagonisti di un intero albo a fumetti firmato da “King” Simon Panella e che verrà presentato al Lucca Comics & Games 2014.

I Poveri di Sodio saranno protagonisti di un concerto inedito assieme a due mostri sacri delle sigle televisive: Cristina D’Avena e Enzo Draghi. Tutti abbiamo apprezzato la loro voce nei personaggi di Licia e Mirko in Kiss me Licia e successivi telefilm, ma nessuno li ha ancora visti ed ascoltati in questa formazione e completamente dal vivo. Al termine del concerto, la mascotte della sagra Brush aprirà i battenti del castello (ingresso libero) per la proiezione su maxischermo della prima partita della Nazionale Italiana per i Campionati Mondiali di Calcio 2014. Sia che il risultato si riveli un dispiacere da affogare e sia che si riveli invece una vittoria da festeggiare, la soluzione sarà a portata di mano: il servizio bar e cucina rimarrà a disposizione di tifosi e amici per tutta la durata dell’evento.

Domenica 15 Giugno ci appassionerà con un pezzo di storia della musica italiana e internazionale: Maurizio De Angelis, leader e fondatore degli Oliver Onions assieme al fratello Guido, racconterà infatti la carriera dello storico gruppo nel live esclusivo Dagli Oliver Onions ad oggi. Viaggeremo attraverso le innumerevoli musiche che i due fratelli De Angelis hanno curato e che sono conosciute anche ben al di fuori dei confini italiani. Fra queste, sono memorabili le colonne sonore dei film di Bud Spencer e Terence Hill, come …Altrimenti ci arrabbiamo!…Continuavano a chiamarlo Trinità e Anche gli angeli mangiano fagioli. Non da meno sono i brani di molte serie televisive come Sandokan, Zorro, Spazio 1999 e Orzowei.

Sul palco assieme a Maurizio De Angelis ci saranno i Fratelli Los Angelis: questa band vicentina, approvata e apprezzata dagli stessi Oliver Onions, suona i loro successi più famosi in tutta Italia da oltre 15 anni. Di contorno al concerto, una Gara di Birra & Salsicce ed il raduno delle Dune Buggy tingeranno l’atmosfera di colori sgargianti, dando vita ad uno show assolutamente da non perdere.

L’altro cuore pulsante della manifestazione sarà il Comics Village: al fumetto, che resta pur sempre il faro che illumina l’intera sagra, è infatti dedicato non un padiglione né un palco, bensì un intero villaggio. All’interno di questa cittadella si darà ampio spazio alle autoproduzioni, e i padroni di casa saranno grandi nomi del panorama fumettistico italiano e internazionale. In questo spazio-laboratorio autori e disegnatori si cimenteranno in showcase ed esibizioni originali: che ne dite, ad esempio, di un fumettista che disegna su una automobile?

Si conferma la presenza di Ghostbusters Italia, la prima community italiana ispirata al film di culto sugli acchiappafantasmi che celebrerà i 30 anni dall’uscita del film proprio a La Sagra dei Fumetti: detto in altre parole, sorprese assicurate. Sarà inoltre possibile partecipare ad uno degli interessanti workshop organizzati per le due giornate de La Sagra dei Fumetti. Fra le opzioni, laboratori di fotografia – con la professionista Marika Dalloco, doppiaggio di cartoni animati – tenuto da Ivo De Palma, che prestò la voce a Pegasus per i Cavalieri dello Zodiaco, e fumetto – a cura della Cyrano Comics.

Al castello è tutto pronto: tu cosa aspetti? Compra subito il tuo biglietto: in prevendita ti costa meno! L’elenco dei rivenditori, il programma completo e tutte le altre informazioni utili al sito lasagradeifumetti.it.

Da Bach a Carpenter

 

Lo scrittore e giornalista ungherese Sándor Márai scrisse, nel 1945, che “C’è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo ed affidabile della parola” (S. Màrai, Liberazione). Cavalcare tale modalità di comunicazione significa toccare corde difficilmente raggiungibili altrimenti.

Questo è ciò che Cameron Carpenter fa e ha fatto anche ieri, presso l’abbazia di Santo Stefano a Isola della Scala, Verona. Lo fa con i suoi contrasti, a cominciare dall’accostamento di un look anticonformista al garbo della musica classica fino alla risoluta dolcezza che trabocca dalla sua voce, dalle espressioni del suo viso e dalla sua gestualità. E lo fa ovviamente con la musica, che lui stipa fino a scoppiare di significati, pulsioni e vita vissuta.

Cameron Carpenter non è semplicemente un eccellente performer, con un talento ed una padronanza della sua arte fuori dal comune. Dentro all’esecutore c’è una complessa filosofia fatta di sottili elaborazioni teoretiche, di sturm und drang, di empirismo. Lui trasmette tutto ciò tramite un linguaggio non verbale prepotente ed efficace, miracoloso e profondamente umano allo stesso tempo. Cameron non suona l’organo, ma risuona assieme ad esso: lo piega a suo piacimento ottenendo sonorità sorprendenti, ci litiga e vi riversa la sua rabbia; ma lo ama appassionatamente e lo rispetta come fosse una parte di sé, un suo “organo vitale”, insomma.

È così che il giovane musicista ha proposto celebri composizioni di Bach, sfiorando poi Puccini e alcuni brani leggeri come My way e O sole mio. Le partiture, che Cameron non leggeva ma ritrovava in circolo nel proprio sangue, hanno acquisito dei colori mai sperimentati persino nei passaggi più obbligati.

Il meglio di sé, però, lo ha dato sicuramente nelle tre improvvisazioni delle quali ha omaggiato il fitto pubblico. Discorsi unici, creati ad hoc per quel momento specifico senza alcuna mediazione e, anche solo per questo, assolutamente impagabili.

Cameron ha dapprima ricamato la colonna sonora orchestrale di un delicato film d’altri tempi, raccontando poi di piccole libellule variopinte, di treni stizziti e incalzanti nella nebbia e dell’incedere marziale tipico di chi sa prendersi ciò che vuole. Questa è solo la personale lettura di chi scrive, certo, ma la potenza immaginifica di ciò che si ascoltava – indipendentemente dall’interpretazione – era palpabile per chiunque.

Per questa esperienza di pura energia e bellezza ringraziamo di cuore Cameron Carpenter, per il dono di sé che gli auguriamo di poter fare ancora per innumerevoli concerti, e le Associazioni Capitan Bovo e In nomine artis, per il coraggio di investire in progetti ambiziosi e per la lungimirante sensibilità dimostrata.

Chi l'avrebbe mai detto?

Dire che non vado per niente d’accordo con numeri & co. è un delicato eufemismo. Mai avrei pensato di sopravvivere con dignità alla produzione regolare di contenuti per una rivista dedicata agli appassionati di trading algoritmico.

Come valutare un Trading System: analisi sistematica e analisi oggettiva delle performance

 

La valutazione di un Trading System, o fase di backtest, è lo strumento che abbiamo a disposizione per capire se il sistema che stiamo considerando sia idoneo alle nostre esigenze. Non significa semplicemente accertarsi che il sistema funzioni: significa verificare che funzioni per noi. La domanda con cui i trader sistematici esprimono il concetto alla base di questa analisi è: “Il sistema è tradabile?”. In altre parole, ciò che dobbiamo capire è se il Trading System sia per noi sostenibile, al netto delle spese e considerando ogni sforzo. Per scoprirlo, dobbiamo raccogliere e interpretare correttamente i dati sul comportamento del sistema.

Cogliere il modus operandi di un Trading System dal Performance Report

All’interno del Performance Report c’è gran parte della risposta alla domanda circa la tradabilità del nostro sistema. Se da un lato abbiamo quasi tutte le informazioni a portata di mano, dall’altro esse non sono pronte all’uso: dobbiamo esplicitarle attraverso un attento processo di analisi. Come primo punto, però, dobbiamo avere bene chiaro cosa possiamo trovare. Il Performance Report, infatti, non ci può dire con esattezza quanto guadagnerà in futuro il nostro sistema: quello che ci permette di osservare è quale sia il modus operandi del nostro sistema, in generale.  

Nella valutazione, il Performance Report evidenzia i risultati restituiti dal sistema messo in esecuzione su un determinato set di dati storici. Osservare l’andamento delle performance su contesti del passato ci permette di tratteggiare una descrizione del modo in cui il sistema si comporta, di come reagisce ai cambiamenti del mercato e di quanto valorizzi le risorse. Il quadro dell’operatività che ne possiamo ricavare non deve però spingerci ad elaborare delle aspettative in termini di risultati concreti: comprendiamo il meccanismo del sistema, non prevediamo il futuro.

Analisi sistematica: le metriche fondamentali

L’analisi sistematica di un Trading System consiste nell’interpretazione critica dei dati del Performance Report risultante dalla simulazione. L’obiettivo di questa analisi, lo ribadiamo, è definire la tradabilità del nostro sistema sulla base di regole oggettive e parametri misurabili.

Una delle prime metriche da tenere in considerazione nell’affrontare l’analisi sistematica è il numero di trade. Questo dato esprime la capienza del report, ossia la portata del nostro campione statistico. L’importanza del numero di trade nel determinare la consistenza del sistema dipende anche dal suo rapporto con il numero di parametri e regole del sistema stesso. A livello statistico, infatti, ha senso massimizzare il numero di trade limitando nel contempo le regole che circoscrivono la libertà operativa del sistema.

L’average trade, ossia la divisione tra il profitto netto e il numero dei trade generati dal sistema, è senza dubbio un parametro fondamentale. In sostanza, misura il guadagno medio di ogni singola operazione e permette di verificare che il sistema non sia profittevole solo sulla carta. 

Un valore troppo basso potrebbe indicare che il profitto non è in grado di coprire i costi delle commissioni, come il costo del broker che esegue la transazione. In special modo, l’average trade deve dare ragione dello slippage, ossia della differenza tra il prezzo teorico di acquisto e l’eseguito reale. 

Attraverso il profit factor possiamo inoltre avere il rapporto tra perdite e profitti lordi. Consigliamo di diffidare da sistemi che evidenziano valori di profit factor troppo alti, possibile spia di overfitting e di sorprese sgradite nel passaggio dal backtest al real-time. Conoscere il sistema significa inoltre essere consapevoli del suo parametro di rischio: calcolando il rapporto tra il net profit e il drawdown avremo il max strategy drawdown.

Pur non essendo una panoramica esaustiva, questa lista di metriche da analizzare a partire dai dati del Performance Report costituisce un primo riferimento utile per procedere all’analisi sistematica del Trading System nella sua valutazione. 

Analisi soggettiva: il fattore psicologico

Potremmo dire che, se l’analisi sistematica ha come focus il comportamento del Trading System, l’analisi soggettiva si concentra sul comportamento del trader. Fare trading sistematico non è un’attività che si adatta a tutti: per portarla avanti con successo è necessario da un lato avere una certa disposizione psicologica, dall’altro essere capaci di un approccio metodico e di molta disciplina.

Anche la migliore delle strategie di trading comporta un rischio. Dobbiamo quindi soppesare con attenzione la nostra tolleranza nei confronti di questo aspetto e stabilire quali sono i limiti entro i quali siamo in grado di sopportare la pressione psicologica. L’analisi sistematica condotta a partire dal Performance Report ci suggerisce che, investendo un capitale X, otterremo un un ipotetico rendimento Y: il rischio coinvolto vale la pena, per noi? Siamo disposti a correrlo?

È inoltre necessario saper reagire allo stress non solo con resilienza psicologica, ma anche con un approccio estremamente rigoroso e strutturato. Una delle principali cause di fallimento dei trader è proprio sottovalutare l’importanza dell’agire con disciplina, dati alla mano. Non è raro vedere trader poco esperti che, dopo una prima performance negativa del sistema, abbandonano la strategia abbracciata sull’onda dell’entusiasmo. Non considerano che spesso il trend positivo poi riprende, accusando dunque perdite e mancati profitti. 

Il trading sistematico non significa “soldi facili”. Significa applicarsi con costanza, consapevoli che – ad esempio – i principali sistemi che individuano e seguono i trend di mercato (trend-following) hanno una percentuale media di operazioni profittevoli ben inferiore al 40%. Prima di intraprendere la via del Trading System è bene dunque includere, nella fase di valutazione, anche la prospettiva di dover sopportare lunghi periodi senza profitto, svariate perdite consecutive e drawdown consistenti.

Conclusione

Abbiamo iniziato chiedendoci come valutare un Trading System e siamo arrivati a scoprire che, in realtà, ad essere sottoposti ad analisi sono sia il sistema che il trader. La valutazione consente di stilare il profilo del sistema e prendere coscienza dei suoi comportamenti. Partendo da questo, dobbiamo poi considerare che le performance del sistema andranno progressivamente peggiorando, perché è questo che si verifica statisticamente. 

Il risultato della valutazione dovrà perciò dare non solo la tradabilità del sistema in senso stretto, ma anche la disponibilità del trader ad applicarla; il tutto conformando le proprie aspettative alle reali informazioni fornite dal Performance Report e preparandosi a diversificare le proprie strategie con la costruzione di un portafoglio di sistemi ben congegnato.  

Nei panni di...

Includo due pezzi ghost-scritti per Stevie Kim, figura di spicco per il vino italiano con la quale collaboro da tempo e della quale so ormai catturare facilmente la voce, ma con un italiano migliore (lei è coreano-americana)! Il primo è uscito sul magazine Sommelier Veneto, il secondo per il supplemento Cook del Corriere della Sera.

La sciabolata di Stevie Kim

 

Nell’era dei selfie, essere fotogenici è un asset notevole. Voglio partire da questa considerazione per fare una riflessione personale sul rosé. Sono convinta che questo vino sperimenti una popolarità che non avrebbe, se fosse di un colore meno camera-friendly. È infatti quel suo rosa a permettergli di cavalcare la febbre di Instagram, l’attuale re dei social network.

In principio era LinkedIn: per me e per molti professionisti, l’esperienza nei social network è iniziata con questa piattaforma B2B. Poi si è passati a Twitter, un megafono per diffondere notizie. È infine arrivato Instagram: facile, efficace e immediato come la comunicazione visiva su cui si basa. Ha conquistato in breve tempo milioni di utenti e, dopo l’unione con Facebook, è diventato sempre più potente. 

Non è un caso se la popolarità del rosé è decollata in quello stesso arco di tempo. Instagram ha contribuito concretamente alla sua fortuna. Il rosé soddisfa non solo l’attuale modalità di approccio alla comunicazione digitale, ma anche il desiderio di nuovi veicoli per lo storytelling, per raccontare visivamente uno stile di vita moderno, leggero, di moda. 

Un esempio? L’anno scorso è stata inaugurata, a Manhattan, la Rosé Mansion. In ciascuna delle stanze, i visitatori assaggiano un diverso stile di rosé e ne scoprono la storia; ma il senso di questa esperienza non è la degustazione. È piuttosto l’occasione di scattare belle foto, con un bicchiere di rosé, nelle spettacolari location ricreate. Ciò che rende la Rosé Mansion interessante, insomma, è che fornisce un’esperienza “ad alto tasso di instagrammabilità”.

Il rosé ha di fronte grandi opportunità, a livello di comunicazione. La vera sfida, specie per i produttori italiani, è incanalarle nella giusta direzione. Ciò che noto, viaggiando spesso in tutto il mondo, è quanto sia difficile associare il rosé all’Italia. Gli italiani stessi ne bevono poco, anche a causa della stigmatizzazione che, storicamente, lo reputa un vino di serie B. Lo confermano i dati Nielsen sulle tendenze nel consumo di vino dell’ultimo anno (9th annual wine industry growth summit – U.S. Wine Consumer Trends, February 20, 2019 – Sonoma State University): nonostante una crescita del 20.7% rispetto ai dodici mesi precedenti, solo il 4.5% delle vendite annuali di rosé vengono in Italia, mentre avvengono in Francia e negli Stati Uniti per un 45% ciascuna. 

Il mio punto di vista – puramente soggettivo, certo – è che gli italiani per primi dovrebbero rivalutare con convinzione questo prodotto. Credo si debba cominciare dal costruire una nuova identità per il rosé. In quest’ottica, trovo promettente l’iniziativa dei consorzi italiani di tutela del vino rosato, che si sono uniti in un patto d’azione strategico presentato poco prima di Vinitaly. Mi piace molto anche la proposta di cambiare la denominazione da vino “rosato” a “rosa”: è un nome semplice, efficace, immediato. Proprio come la comunicazione di Instagram.

Come far innamorare i giovani del vino?

 

Tradizionalmente, poco prima di Halloween, partecipo a uno dei miei eventi sul vino preferiti di tutto l’anno: il New York Wine Experience (NYWE). Organizzata da circa quarant’anni da Wine Spectator, probabilmente il magazine di settore più prestigioso degli Stati Uniti, la manifestazione ha una duplice anima. La prima consiste in due notti di walk-around tasting con oltre 260 tra le migliori – e spesso anche più famose – bottiglie internazionali selezionate dalla redazione del magazine, dagli Champagne ai Bordeaux, dai Borgogna ai SuperTuscan. La seconda è fatta di seminari e approfondimenti in sale con ben mille posti a sedere. Per l’edizione 2023, il gran finale è stata una verticale di quattro annate di Masseto. Il Marchese Lamberto Frescobaldi ha guidato la degustazione con il suo giovane maestro di cantina, invitando i presenti a non usare la sputacchiera, comprensibilmente.

 

La preoccupazione per il futuro

Chi sono i partecipanti di questo happening esclusivo? Specifichiamo che non è gratuito: costa quasi tremila dollari a persona, escluse le eventuali spese di viaggio e di albergo. Gli ospiti che si incontrano al NYWE sono principalmente collezionisti, professionisti del settore e appassionati provenienti da tutto il mondo, anche se per la maggior parte dagli Stati Uniti. Il comune denominatore tra tutti è l’età: alla chiamata rispondono i wine lover più “anziani”. 

Questo aspetto mi ha colpito in special modo durante il discorso di apertura: alla domanda su quanti quarantenni ci fossero tra il pubblico, a malapena una dozzina di persone ha alzato la mano. Piuttosto sorprendente, se si considera che la capienza della sala era di mille persone. Quando poi è stato chiesto quanti avessero meno di 30 anni, la platea si è zittita completamente. Marvin Shanken, leggendario editore e proprietario di Wine Spectator, non sembra ritenere questo un fenomeno significativo: non appena compiranno cinquant’anni, i Millennial (tutti quelli nati dal 1981 al 1996) e i Gen Z (dal 1997 in poi) sostituiranno semplicemente gli attuali Baby boomer. Io, al contrario, sono preoccupata per il futuro del vino e per il suo rapporto con gli appassionati di domani. Si dice spesso che la categoria del lusso sia immune da qualsiasi forma di crisi.

 

Come avvicinare gli under 30

Ma come possiamo aiutare gli under 30 a innamorarsi del vino e, soprattutto, di quello italiano? Questo è uno dei temi che mi hanno moderatamente ossessionata negli ultimi anni. Se i trend dovessero proseguire sulla strada che sembrano aver imboccato, le nuove generazioni continueranno a preferire gli spritz e i gin tonic al vino. Ricordo che, quando sono entrata in questo campo, gli spritz Aperol e i rosé non erano affatto i re dell’instagrammabilità né i colori più popolari nelle piazze d’Italia e nei bar alla moda degli Stati Uniti. L’interesse per il consumo di vino è stato condizionato anche dagli influencer del mondo social? Forse. Schiava, Franciacorta o Valpolicella hanno una chance contro gli allegri (ed economici, aggiungerei) aperitivi? 

Lavorare con uno staff giovane ed eterogeneo mi permette di avere esperienza diretta degli atteggiamenti e delle abitudini dei ragazzi di oggi. La mia politica non scritta è quella di individuare, assumere e promuovere i più brillanti nuovi talenti disponibili, ma mi impegno anche per coinvolgere studenti e giovani sia in attività di formazione ed educazione al vino sia attraverso collaborazioni con realtà del mondo enogastronomico e dell’hospitality. Di recente ho anche lanciato per Italian Wine Podcast Next Generation, una serie settimanale, prodotta da e per giovani consumatori di vino, che mette in luce le storie di loro coetanei che attualmente stanno scuotendo il settore. Ripeto: sono leggermente ossessionata da questo tema! Una delle mie colleghe ha sei figli di età compresa tra i 23 e i 32 anni. Come molti consumatori di vino della loro età, ammettono di essere attratti da etichette dal design fresco e facile da capire, anche se hanno una conoscenza pregressa del vino. Questa generazione fa scelte che riflettono i propri valori, in particolare per quanto riguarda la salute e l’ambiente. Il costo può essere una grande barriera per questo pubblico nell’esplorazione del vino, sia in negozi e ristoranti che attraverso degustazioni o corsi. Spesso, sentono la mancanza di eventi enologici pubblici e informali, che riescano ad attirare una platea più giovane offrendo un’esperienza divertente e l’opportunità di conoscere una varietà di vini con pochi rischi.

 

Esperienze e innovazione

La parola chiave, qui, è proprio “esperienza”: i Gen Z e i Millennial rinunciano volentieri a oggetti e cose materiali per fare esperienze. Ideare proposte in grado di intercettare tali esigenze è alla portata di tutti i produttori italiani. Un esempio: nel 2017 ho conosciuto Alessandro Carucci, un barman di Nizza Monferrato, in Piemonte. Mi ha raccontato di aver realizzato come la next generation gli chiedesse sempre spritz e simili perché li trovava più semplici da approcciare rispetto al vino, che intimidisce i più. In risposta, ha creato il Barbera Tonic utilizzando come base una Barbera Chinata. Anche Elena Penna e Luca Currado dell’azienda vinicola Vietti stanno raggiungendo i cultori del cocktail. Hanno messo in commercio, per il secondo anno, un Vermouth pluripremiato a base di Arneis e di Barolo selezionati. Questo è un tipo di idea innovativa che può contribuire a colmare la distanza che esiste attualmente e a ispirare i più giovani a esplorare il mondo del vino. In quanto portavoce e ambasciatori del vino italiano dobbiamo notare questi meccanismi, osservarli con mente aperta e abbracciare ogni opportunità per attirare le nuove generazioni: solo così potremo avere degli eredi pronti a portare avanti la passione e l’interesse per il mondo del vino nei decenni a venire.